Al capitolo 20, “Risurrezione di Gesù” del vangelo di Giovanni, ai versetti 4-8, che raccontano la visita al sepolcro da parte di Pietro e Giovanni, si legge: “correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.”

          Soffermandoci su tale descrizione, emerge, sotto l’aspetto temporale, che è Giovanni ad arrivare per primo al sepolcro: “chinatosi” innanzi all’entrata, senza entrarvi, “vide” solo “le bende per terra”; successivamente entrò Simon Pietro che “vide le bende per terra e il sudario…piegato in luogo a parte”; dopo entrò Giovanni che “vide e credette”.

          Sorge, allora, spontanea la domanda: ma, nella scena sopra descritta, cosa vide di tanto particolare Giovanni da indurlo a credere (nella risurrezione di Gesù)?

         Le bende per terra e, soprattutto, il sudario piegato in disparte come potevano suscitare in Giovanni il convincimento dell’avvenuta risurrezione di Gesù? D’altra parte, nel caso di risurrezione di Gesù, chi se non il Risorto avrebbe provveduto a piegare il sudario e metterlo “in un luogo a parte”, con un’operazione obbiettivamente priva di alcun senso, senza considerare che, in tale ipotesi, si sarebbe trattato di un Gesù ritornato, come Lazzaro, nel proprio corpo? C’è, evidentemente, qualcosa che non torna nel racconto, così come riferito ai versetti 4-8, nella traduzione su riportata: altrimenti non sarebbero giustificabili le conclusioni cui perviene Giovanni ed il tutto risulterebbe davvero incomprensibile.

          Per comprendere meglio il testo in esame, è necessario fare una precisazione preliminare che tornerà utile per quello che si dirà in seguito: nei cinque versetti (4-8) sopra trascritti, per tre volte, ricorre la parola “vide”, sia nella Vulgata latina, sia nell’attuale versione ufficiale italiana della CEI. Senonché, nell’originale testo greco, sono utilizzate, invece, tre voci di tre verbi diversi, che mettono in chiara evidenza la diversa e progressiva intensità nell’osservazione (da parte di Giovanni prima, poi di Pietro e, successivamente, di nuovo di Giovanni) della situazione del luogo, che non trova  riscontro nella traduzione (sia latina che italiana) per l’utilizzo, in questi testi, come si è detto, sempre dello stesso verbo (“vedere”): infatti, la prima voce (blépei) usata nel testo greco, riferita a Giovanni che, inizialmente, si è solo fermato all’ingresso del sepolcro senza entrarvi, risulta traducibile con il verbo “accorgersi” (vedere, cioè, solo approssimativamente), la seconda (theòrei), riferita a Pietro che è entrato, dopo, nel sepolcro, è traducibile con il verbo “constatare” o “contemplare” (vedere in modo più attento) e la terza (eìden), riferita a Giovanni, anche lui, questa volta, entrato successivamente nel sepolcro, è traducibile in italiano con un verbo che indica, oltre al semplice “vedere”, anche un’analisi di ciò che si presenta agli occhi (vedere e comprendere).

          Occorre, inoltre, ricostruire, sempre sulla base dei testi evangelici, le particolari modalità della preparazione del corpo di Gesù per la sepoltura, messe in atto, secondo le leggi ed i costumi ebraici, da Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo: il suo corpo venne adagiato su di una grande tela (la sindone) che, ripiegata sul capo, lo ricopriva totalmente, dopo aver sistemato una parte residua della stessa tela (il sudario), arrotolata su sé stessa, intorno al capo, con funzione di mentoniera, al fine, sia di tener chiusa la bocca, sia di evitare che il capo si piegasse lateralmente. L’uso di una grande tela (che non risulta abbia coperto il corpo di Lazzaro) venne disposto in obbedienza di uno specifico precetto ebraico che prescriveva di non disperdere il sangue di chi fosse morto con ferite sul corpo. Il corpo, così avvolto nella sindone, venne successivamente fasciato all’esterno con fasce, in modo da evitare che si potesse scomporre rispetto alla posizione conferitagli, con le braccia leggermente incrociate a coprire il basso ventre, fatta eccezione per il capo che risultava già fermo per il sudario che lo circondava e, comunque, coperto dalla sindone; tale particolare viene (maliziosamente?) dimenticato da quanti, ad ulteriore sostegno della presunta falsità della sindone, ritengono che tale disposizione delle braccia, così come emerge dall’immagine impressa sul sacro telo, risulta innaturale, dato che le braccia, se disposte in quel modo all’atto della sepoltura, non potevano mantenersi in quella posizione, ma subito dopo, per forza di inerzia, si  sarebbero naturalmente distese lateralmente lungo il corpo. Sindone, fasce e sudario avvolgevano, quindi, totalmente il corpo di Gesù, tenendolo ben fermo e chiuso verso l’esterno, fatta eccezione per la parte terminale, in corrispondenza dei piedi.

           Ritornando, ora, ad esaminare quello che Giovanni “vide” nel sepolcro vuoto, tanto da fargli “credere” nella Risurrezione di Gesù, sulla base di quanto risulta dai versetti su riferiti e sull’evidente loro indecifrabilità (cioè: “le bende per terra ed il sudario che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in luogo a parte”), diversi qualificati biblisti e studiosi della lingua greca concordano nel ritenere non corretta tale traduzione (sia latina che, conseguentemente, italiana) dell’originale testo greco.

          Chi soprattutto ha dedicato molti anni della propria vita ad un approfondito studio dei versetti in questione, è stato un parroco di Tivoli, Don Antonio Persili, morto nel settembre 2011.

          Cosa aveva visto effettivamente Giovanni? Don Persili partì da questa domanda nella sua approfondita ed appassionata ricerca (“Sulle tracce del Cristo risorto, con Pietro e Giovanni testimoni oculari”, 1988), riesaminando l’originale testo greco, parola per parola, al fine di individuare una corretta traduzione che avesse un senso ragionevole. Le espressioni che, secondo la sua analisi, nella traduzione, non risultavano aderenti al senso espresso nel testo originale greco venivano così identificate: “vide le bende per terra” ed “il sudario che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte”.

           In particolare, l’espressione “bende per terra” (come ad indicare qualcosa gettato per terra) non era corretta, in quanto il testo originale indicava, piuttosto, qualcosa “che è disteso, afflosciato, appiattito”; mentre, l’altra espressione “non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte” (come se il sudario si trovasse piegato in un posto diverso rispetto alle bende) indicava, invece, solo una modalità diversa e, cioè, non “disteso” come le bende, ma “arrotolato nello stesso posto” (in cui si trovava al momento della sepoltura) e non, quindi, un luogo diverso.

           Secondo Don. Persili, i versetti 5-8 andrebbero, pertanto, così correttamente tradotti: Giovanni “chinatosi, vide le fasce distese, ma non entrò. Giunse intanto Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le fasce distese e il sudario che era sul capo di lui, non disteso come le fasce, ma al contrario avvolto in una posizione unica (nel senso, sempre secondo il Persili, di posizione molto particolare). Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro e vide e credette”.

           “Concludendo, scrive Don Persili, la frase si deve tradurre in modo da rendere l’idea che il sudario per il capo si trovava in una posizione diversa (arrotolato e non disteso) da quella delle fasce per il corpo e non in un luogo diverso. Pietro contempla le fasce distese sulla pietra sepolcrale e, sulla stessa pietra, contempla anche il sudario che, al contrario delle fasce, è in posizione di avvolgimento, anche se non avvolge più nulla”.

           Sulla correttezza di tale traduzione (e, quindi, sull’errore presente nelle traduzioni ufficialmente riconosciute del testo in questione), concordano numerosi biblisti ed esperti in lingua greca; basti, a solo titolo esemplificativo, far riferimento a: Vittorio Messori: “Dicono che è risorto, un’indagine su un sepolcro vuoto”, 2000; Prof. Renato De Zan, biblista, grecista, conoscitore dell’ebraico ed aramaico e Prof. Roberto Lauria: “Commento alle letture delle domeniche”, 2005; Francesco Spadafora: “La resurrezione di Gesù”, 2010; Hervé Maria Catta: “E’ vivo”, 1978; Prof. Don Claudio Deaglio: “Corso di teologia per laici”, 1997; La Bibbia di Navarra- I quattro Vangeli, 1988.

          Ricostruita, così, la scena, nei termini su indicati, tutto appare più comprensibile. Agli occhi di Pietro e Giovanni, la Sindone, le fasce ed il sudario apparirono, infatti, nella stessa posizione assunta al momento della sepoltura: il lenzuolo e le fasce non erano aperte, né smosse, ma semplicemente afflosciate su se stesse. Facile e naturale fu, allora, la deduzione di Giovanni: nessuno aveva asportato il corpo di Gesù, né Gesù, risorgendo, si era strappato di dosso le fasciature (analoghe a quelle che avvolgevano il corpo di Lazzaro, tanto che, in quella occasione, Gesù disse ai suoi discepoli: “scioglietelo e lasciatelo andare”, Gv. 11, 44), ma il suo corpo era uscito senza scomporle, come se fosse svanito dall’interno della sindone che l’avvolgeva e, quindi, la sindone e le fasce, non avendo più cosa avvolgere, si erano semplicemente afflosciate su sé stesse.

           Senonché, il Persili, nella sua minuziosa analisi dei versetti 4-8, sulla base della rielaborazione come sopra da lui stesso operata (che aveva riscosso pressoché unanimi consensi) si sofferma, inoltre, su di un particolare che lo spinge ad un ulteriore interrogativo: se sia Pietro che Giovanni “videro” il sudario, come avrebbero potuto vederlo, dato che era rimasto nella stessa posizione iniziale, cioè coperto dalla Sindone? Per rispondere a tale domanda, il Persili ipotizza, allora, l’esistenza di un secondo sudario, posto all’esterno della sindone, in corrispondenza del volto di Gesù. Tale ipotesi, sempre secondo il Persili, è avvalorata dalla considerazione che, nella narrazione della resurrezione di Lazzaro, il suo volto era “coperto da un sudario” (Gv. 11, 44). La funzione di questo secondo sudario sarebbe stata quella di completamento dell’avvolgimento, a protezione del liquido aromatico versato da Nicodemo; il Persili, infatti, con riferimento ai versetti 6-7 su citati, afferma testualmente: “Giovanni, insomma, precisa che Pietro ha visto il sudario che stava all’esterno, sul capo di Gesù, e non quello che stava all’interno, intorno al capo di Gesù e che perciò era invisibile”. Scomparso il corpo (sempre secondo la ricostruzione operata dal Persili), le fasce che lo aveva avvolto, più pesanti, si abbassarono sulla sindone che esse coprivano e assunsero quella posizione “distesa” che abbiamo visto. Il sudario che ricopriva il capo, più leggero e più piccolo, per così dire “inamidato per l’istantaneo essiccarsi dei profumi liquidi”, restò “al contrario” (rispetto alle fasce) sollevato ed “avvolto”, come se ancora ricoprisse il volto di Gesù, apparendo così ai due apostoli “in una posizione unica” (cioè, sempre secondo il Persili, “molto particolare”, “eccezionale”).

          Ma è proprio questa seconda parte della ricostruzione operata dal Persili ad apparire molto discutibile, finendo, forse, per screditare anche tutte le altre argomentazioni, come sopra svolte a seguito di un lungo e laborioso lavoro di ricerca: il libro del Persili venne, infatti, rifiutato da diverse case editrici ed, alla fine, l’autore fu costretto a stamparlo a sue spese.

          Invero, l’esistenza di un altro sudario non risulta sopportata da alcun specifico riferimento documentale, né può aver rilievo il fatto che un simile sudario ricoprisse il volto di Lazzaro, dato che, come si è detto, il corpo di quest’ultimo non era avvolto da alcun telo (sindone) che, invece, era presente nel caso di Gesù, svolgendo analoga funzione. Non può, comunque, confondersi il sudario che “ricopriva il volto di Lazzaro” con il sudario che, invece, era stato “posto sul capo” di Gesù. D’altra parte, ipotizzando l’esistenza di un altro sudario esterno (per coprire il volto di Gesù), quest’ultimo si sarebbe necessariamente sovrapposto ed aderito perfettamente al sottostante telo della sindone: essendo, entrambi, dello stesso tessuto (in quanto ricavati dall’unico telo acquistato da Giuseppe d’Arimatea) e perfettamente combacianti, il supposto processo di “inamidamento” (ipotizzato dal Persili, con riferimento al secondo sudario esterno) avrebbe, inevitabilmente interessato anche la sottostante sindone. In tal caso, però, la stessa sindone, in corrispondenza del volto, sarebbe rimasta sollevata ed “avvolta” (come il sovrastante sudario) e ciò avrebbe comportato il risultato di un’inevitabile distorsione dell’immagine (assolutamente assente, invece, nella sindone di Torino) nella proiezione (che, come ampiamente dimostrato, costituisce l’unica modalità possibile per la produzione dell’immagine sindonica) su di un telo che fosse rimasto “avvolto” e non disteso. Senza considerare, inoltre, che l’espressione “in posizione unica” (indicata dal Persili) appare, secondo qualificati grecisti, alquanto forzata, in quanto il termine greco “eis”, tradotto dal Persili in posizione “unica” dovrebbe più correttamente tradursi in “identica” o “stessa” (rispetto alla posizione iniziale).

             La diversa funzione del “sudario” presente nella narrazione della resurrezione di Lazzaro, rispetto a quella della sepoltura di Gesù è, d’altra parte, come già detto, avvalorata dallo stesso Evangelista, il quale, nel primo caso, parla di un sudario che “ricopriva il volto di Lazzaro” (Gv. 11, 44), mentre, nel secondo caso, il sudario “era stato sul capo” di Gesù ( Gv. 20, 7): la considerazione che il sudario presente nel sepolcro di Gesù avesse avuto la funzione di mentoniera è, inoltre, avvalorato dal riscontrato effetto “cornice” lateralmente alle guance, presente nell’immagine sindonica.

              Scartando, quindi, l’ipotesi di un secondo sudario, la scena che si presentò a Pietro e Giovanni, rispettando fedelmente il testo evangelico (senza ricorrere a fantasiose ipotesi) può così raffigurarsi: fasce e sottostante sindone risultavano afflosciate e distese, non contenendo più il corpo di Gesù, aderendo, pertanto, la parte posteriore sulla quale era stato deposto il corpo di Gesù a quella anteriore che lo ricopriva, mentre, in corrispondenza del volto, la sindone doveva apparire leggermente sollevata, ancorché distesa, per la presenza, “nello stesso posto”, del sudario che, arrotolato su se stesso, avvolgeva il capo di Gesù, dal mento alla sommità della testa. L’obbiettiva evidenza di tale particolare (rigonfiamento della sindone, in corrispondenza del volto di Gesù) risulta indirettamente avvalorata dalla leggerezza del tessuto (dello spessore di circa 0,3 millimetri) che necessariamente doveva lasciar trasparire all’esterno l’esistenza del suddetto sudario che aveva ostacolato, al momento della sparizione del corpo, la perfetta adesione, per forza di inerzia, delle due parti contrapposte del telo, producendo (a riprova di ciò) una leggera piega trasversale,  il cui segno risulta ben visibile nell’immagine sindonica, proprio all’altezza del volto.

          Tutto ciò giustifica il fatto che Giovanni, rimanendo in un primo momento solo all’ingresso del sepolcro, senza entrarvi, non si fosse accorto di tale particolare (esistenza del sudario coperto dalla sindone) che, invece, venne successivamente notato da Pietro e dallo stesso Giovanni, una volta entrato anch’egli nel sepolcro, quandanche il sudario non fosse direttamente visibile. L’attendibilità di tale ricostruzione del testo evangelico è confermata dal fatto (inizialmente messo in evidenza) che, mentre nel testo sia latino che italiano, nel racconto della visita di Pietro e Giovanni al sepolcro, viene riportata, per tre volte, la stessa voce (“vide”) del verbo “vedere”, nel corrispondente testo originale greco, si fa, invece, ricorso a tre verbi diversi, che mettono in chiara evidenza la diversa e progressiva intensità dell’osservazione del luogo, da parte dei due apostoli, nell’entrare, uno dopo l’altro, nel sepolcro. E’, inoltre, lo stesso Persili ad avvalorare inconsapevolmente la versione come sopra ricostruita, laddove suggerisce, come traduzione della parola greca “theòrei” (usata, nel testo originale, con riferimento a quello che “vide” Pietro) di far ricorso, nella traduzione in italiano, al più appropriato verbo “contemplare” che, sia pure in senso figurato, significa, appunto, cogliere il senso nascosto di ciò che appare.

           Così nuovamente e fedelmente ricostruita la scena del sepolcro vuoto, come apparve a Pietro e Giovanni, risulta quasi scontato, per Giovanni, pervenire al convincimento dell’avvenuta risurrezione di Gesù: infatti, il corpo di Gesù non poteva certo sfilarsi da solo, o con l’intervento di altre persone intenzionate a trafugarlo – ferme rimanendo le bende che lo avvolgevano e, pertanto, dall’unico varco presente ai suoi piedi – senza smuovere e trascinare anche il sudario che, come si è detto, arrotolato su se stesso circondava il capo di Gesù, passando sotto il suo mento. Il fatto che il sudario fosse rimasto, invece, nello stesso posto (all’interno della sindone) dove era stato messo al momento della sepoltura, come se ancora avvolgesse il capo di Gesù, significava una sola cosa: il corpo di Gesù si era smaterializzato all’interno delle fasce e della sindone.

          Ciò che, davvero, appare quanto meno assai strano, sta nella considerazione che è proprio l’errata traduzione ufficiale della CEI, secondo la quale, il sudario sarebbe stato trovato “piegato, in un luogo a parte”, ad avvalorare inconsapevolmente l’ipotesi di un trafugamento: il corpo, se sfilato da qualcuno attraverso l’apertura in basso all’altezza dei piedi, avrebbe, infatti, portato con sé, al di fuori della sindone e delle fasce che l’avvolgevano, anche il sudario che, comprensibilmente, sarebbe stato lasciato lì, piegato e messo in disparte: non si capisce, pertanto, come, in presenza di approfonditi e qualificati studi che hanno dimostrato l’inesattezza della traduzione dell’espressione come sopra indicata (“piegato, in luogo a parte”), non si è mai provveduto alla necessaria rettifica di un testo che, nella versione ufficiale, appare, comunque, privo di senso.

          Il convincimento di Giovanni (dell’avvenuta risurrezione di Gesù, scartando la possibilità di un trafugamento, proprio sulla base di quello che aveva effettivamente “visto”) risulta, d’altra parte, comunque, avvalorato dall’analisi (effettuata solo nel 1978) delle innumerevoli macchie di sangue presenti sulla sindone: è stato, infatti, incontestabilmente accertato che tali macchie non presentano alcuna traccia di sbavature, segno evidente che il corpo non è stato trascinato fuori dalla sindone, né ha subito il benché minimo spostamento e, pertanto, il corpo stesso si è come volatizzato, all’interno delle fasce e della sindone. Pertanto, i due fatti: il ragionamento seguito da Giovanni che lo determinò a credere e le analisi effettuate sulle macchie di sangue, si avvalorano reciprocamente ed, uniti ad una serie innumerevole di altri riscontri, validi sotto l’aspetto scientifico (come, ad esempio, che l’immagine si sia potuta produrre solo per proiezione e non per contatto, escludendo, inoltre, che possa essere opera di un abile pittore), conducono al fondato convincimento che la Sindone di Torino, oltre ad essere autentica (che, cioè, oltre a non essere un falso, ha effettivamente avvolto il corpo di Gesù, flagellato e crocifisso), costituisce anche un valido “segno”, muto testimone della Sua risurrezione, quale fatto realmente e storicamente avvenuto.

           Per quanto, poi, concerne la conclusione (alla quale sono pervenuti valenti scienziati) che l’immagine si possa essere prodotta solo per proiezione, tale effetto (sulla base di altre scrupolose indagini scientifiche) sarebbe riconducibile ad una forte sorgente di luce, all’interno della sindone, compatibile con l’ipotesi della risurrezione e prodotta durante la smaterializzazione del corpo di Gesù (cfr. per tutti, Prof. Giuseppe Baldacchini, Religioni, Cristianesimo e Sindone, marzo 2012): quest’ultima ipotesi, potrebbe anche giustificare la differenza notata nella qualità dell’immagine di tutto il corpo, rispetto a quella del volto. All’atto di tale smaterializzazione, infatti, il lato anteriore della sindone, per forza d’inerzia, sarebbe andato a combaciare con quello posteriore, a differenza della parte corrispondente al volto che sarebbe rimasta necessariamente sollevata, ancorché distesa, per la presenza del sudario che, ravvolto su sé stesso, cingeva il volto di Gesù, e che era rimasto nella stessa iniziale posizione, cioè all’interno della sindone.

           Con riferimento a quanto, da ultimo, osservato, che, cioè, l’immagine del corpo di Gesù si sia fissata sul telo a seguito della sua smaterializzazione, un attimo prima, comunque, che i due lati contrapposti combaciassero perfettamente (ciò è avvalorato dalla circostanza che l’immagine appare proiettata su di un telo che abbia assunto una posizione distesa), è lecito formulare un’ulteriore considerazione che rafforza tale ipotesi. Osservando, infatti, la sindone di Torino, si rileva che tra le due immagini contrapposte (anteriore e posteriore) intercorre uno spazio privo di immagine, che non corrisponde allo spessore della testa (escludendo, pertanto, che detta proiezione si possa essere prodotta dal corpo fisicamente ancora integro), bensì a quello molto minore del rotolo del sudario, che sarebbe rimasto al suo posto a fare spessore sopra il capo.

          Ritornando sull’ipotesi di una “esplosione di energia radiante, come causa più probabile della Resurrezione”, secondo il Prof. Giuseppe Baldacchini (v. pag. 17-21 del suo studio su riferito) “questa ipotesi spiega in modo semplice la dissonanza della datazione, effettuata nel 1988 con la tecnica radiometrica del Carbonio 14 e può essere verificata con i normali mezzi a disposizione dei laboratori scientifici”. Infatti, “tra le ipotesi di un certo seguito c’è quella che attribuisce ad un flusso di neutroni il ringiovanimento della Sindone di circa 1300 anni, ponendo fine in questo modo alla diatriba sulla suddetta datazione con il C14. Questo isotopo radioattivo esiste in tracce in atmosfera perché prodotto in continuazione dai neutroni, un sottoprodotto dei raggi cosmici e si trova nella vegetazione nella stessa percentuale atmosferica. Quando un vegetale viene colto, gli atomi di C14 non vengono più rinnovati ed il loro numero decresce esponenzialmente. Allora contando gli isotopi presenti ad un certo momento, si può risalire alla data in cui il vegetale è stato colto e questo è quello che è stato fatto per determinare l’età della Sindone che è tessuta con fibre di lino. Ma il lino contiene naturalmente una piccola quantità di atomi azoto14 che, se irraggiati con neutroni, si trasformano in isotopi di C14 che si sommano a quelli già esistenti, falsando in tal modo la datazione. In breve, è stato provato che se un tessuto di lino simile a quello della Sindone viene irraggiato con un flusso di 10/14 neutroni/cm/2, il tessuto si ringiovanisce di circa 1300 anni”. Ciò premesso, è facile pervenire ad una, apparentemente, davvero paradossale conclusione e cioè che l’analisi effettuata nel 1988 con la tecnica radiometrica del C/14 (senza affannarsi nel ricercare motivi per metterne in discussione la sua attendibilità e chiederne la ripetizione che potrebbe condurre agli stessi risultati) potrebbe essa stessa costituire, per quanto sopra detto, un valido elemento di prova dell’avvenuta Risurrezione di Gesù, in presenza di una lunga serie di indizi che, concordemente, inducono a ritenere che la Sindone di Torino sia davvero il telo che ha raccolto il corpo di Gesù, flagellato e morto in croce.

           Concludendo, se è vero che, per il cristiano, ogni fatto od argomento oggetto di fede debba essere accettato, a prescindere dalla ricerca di prove concrete che lo dimostrino (Gesù, infatti, ha testualmente affermato: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno”, in Gv. 20, 29), è pur vero che, a volte, è Lui stesso a lasciare segni tangibili (come, ad esempio, molti miracoli eucaristici come soprattutto quello di Lanciano) che aiutano, se non anche addirittura determinano, a credere. Nel caso in esame, poi, il “segno” appare anche preannunciato; agli scribi che chiedevano a Gesù: “vorremmo che tu ci facessi vedere un segno” (pretendendo, cioè, una prova concreta da constatare visibilmente da chiunque), Gesù, infatti, rispose: “nessun segno vi sarà dato, se non il segno di Giona il Profeta” (Mt. 12, 38-39), alludendo, evidentemente, non già all’evento della Sua risurrezione (che non ha avuto testimoni oculari), bensì ad un segno tangibile della stessa, offerto, oltre che a Pietro e Giovanni, a tutti quelli che siano disposti a “vedere” e “credere”.

           E’ pur vero, comunque, che rifacendoci al noto detto di Sant’Anselmo D’Aosta: “non cerco di capire per credere , ma credo per poter capire” e ribaltando, quindi, l’ordine logico seguito in tutta l’esposizione che precede, è proprio l’avvenuta Resurrezione di Gesù, fatto unico ed irripetibile nella storia dell’uomo, che costituisce l’unica valida ed esaustiva risposta a tutti gli interrogativi che possono sorgere, fin dall’iniziale domanda che Pietro e Giovanni si posero, in quel giorno, di fronte a ciò che videro nel sepolcro vuoto.